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Il 22 maggio ho partecipato come ospite a una diretta di CapriPress dal titolo “Come affrontare il post-quarantena e i suoi effetti collaterali”. Sono stata contenta di questo invito perché è stata per me un’occasione in più per fermarmi a riflettere, per poter recuperare punti di vista e pensieri sul rapporto tra stress psicologico e COVID-19. E per aprirmi a nuove domande fatte dagli amici giornalisti, Mariano e Annachiara, e da chi ha seguito la diretta.

Inoltre, sono stata molto contenta perché parlare degli aspetti psicologici mi sembra importante e necessario, ora come in tutti i momenti di passaggio e incertezza più che mai, innanzitutto per provare un po’ a decostruire il luogo comune, ancora molto diffuso, secondo il quale la psicologia si occupa di problemi non sostanziali della salute. Della serie:

“Con i problemi che ci sono vi mettete a parlare di psicologia?” 

Sì e a maggior ragione. Occuparsi di come contenere lo stress psicologico legato alla diffusione del COVID-19 vuol dire prendersi cura della salute delle persone, definita dall’OMS come uno stato di benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia.

Prendiamoci cura della salute psicologica

Ci prendiamo cura degli aspetti psicologici quando pensiamo al modo in cui ogni persona, famiglia, comunità si è potuta riorganizzare intorno al SARS-CoV-2, un piccolissimo ma gigantesco virus che ci ha richiesto un grande impegno. Quando osserviamo le risorse che sono nate.

E quando osserviamo il disagio. Tante possono essere le condizioni del malessere psicologico emerse in queste settimane. Possiamo provare a non collocarle all’interno dell’individuo come persona da curare, ma guardarle all’interno delle relazioni, delle famiglie, delle comunità. È a tutti i livelli che c’è bisogno di cura psicologica, che va considerata insieme alla cura fisica, relazionale, sociale ed economica. 

Da leggere: perché andare dallo psicologo?

Affrontare lo stress psicologico da COVID-19

Ho provato a individuare alcuni aspetti che dal mio punto di vista caratterizzano questo periodo e che possiamo considerare come spunti per allestire condizioni di cura e tutela per la nostra salute.

benessere psicologico covid

Scegliere attivamente

In questo periodo la nostra libertà è stata – ed è – profondamente limitata. Non abbiamo avuto molto margine di scelta rispetto alla quarantena, al lockdown, al distanziamento sociale.

Nella fase 1 abbiamo avuto regole molto rigide, che ci hanno orientato nei passi da poter fare e in quelli da evitare. E tuttavia anche in quella fase recuperare la possibilità di sentirci soggetti attivi rispetto alla nostra vita è stato un aspetto importante.

Oggi che abbiamo una maggiore possibilità di scelta sembra centrale chiedersi: cosa possiamo scegliere e cosa no? Questa domanda può aiutarci a non confonderci e impegnarci a cambiare aspetti che non possiamo cambiare. La presenza del virus ad esempio. O le emozioni nostre e di chi ci sta intorno.

Farci questa domanda ci aiuta anche a non pensare che non possiamo più scegliere nulla e a focalizzare l’attenzione sugli aspetti che possiamo cambiare. E ad assumerci la responsabilità delle scelte che prendiamo: all’interno delle regole calate dall’alto, abbiamo molteplici possibilità. Ad esempio possiamo scegliere quali congiunti frequentare, come frequentarli, quali attività riprendere, quali luoghi evitare e quali tornare a vivere e così via. In altre parole possiamo iniziare a rivolgerci a ciò che possiamo scegliere e a ciò che possiamo cambiare: in primis noi stessi.

Lasciare spazi liberi dal COVID-19 

Come accade in ogni situazione di emergenza abbiamo dovuto dare priorità a un aspetto sugli altri: la necessità di proteggerci e proteggere dal contagio. Intorno a questa necessità abbiamo ricostruito e riorganizzato tutti gli altri aspetti della nostra vita. E non si è trattato solo di organizzazione pratica di tempi, spazi e attività.

Tutto ciò ha richiesto un grande impegno emotivo, chiamandoci a fare i conti con l’incertezza e con tanti vissuti ed emozioni anche contrastanti come paura, rabbia, tristezza, gioia, speranza, desiderio.

Il rischio che corriamo è che la protezione dal virus diventi totalizzante alimentando una situazione paradossale. Per non ammalarci di Coronavirus, rischiamo di ammalarci di altro: di solitudine, paura, controllo. Ma rischiamo anche di sottovalutarlo, arrivando a pensare che è tutta una esagerazione o che non potrà mai riguardarci da vicino.

Coltivare consapevolmente l’attenzione per la cura degli aspetti psicologici, ci può aiutare a sviluppare benessere e a prenderci cura di noi e dei nostri affetti in un senso più ampio e non solo tutelandoci dalla infezione. 

Possiamo chiederci: quali sono gli spazi liberi dal Covid? Questo può aiutare a a riservarci degli spazi in cui stiamo attenti a non fare entrare il SARS-CoV-2 oppure a lasciargli uno spazio limitato, accanto ad altro.

Questo atteggiamento può aprirci a nuove possibilità. Ad esempio poter lasciare spazio ad attività, passioni, argomenti di conversazione, esperienze che ci fanno stare bene. Ad essere attenti al contagio senza sacrificare il contatto con gli altri: poter sperimentare nuove vicinanze che tengano conto della (nostra) necessità di stare a distanza (a quella che a noi sembra possibile sostenere).  

COVID-19, accogliere le differenze

Il Coronavirus è arrivato nelle vite di tutti/e noi. Ognuno ha dovuto rinunciare a qualcosa, ognuno ci ha dovuto fare i conti. Si è spesso parlato di virus democratico, che colpisce e che riguarda tutte le persone.

Non dobbiamo fare l’errore di dimenticare che non siamo tutti uguali e che non siamo nelle stesse condizioni. E se questo è vero per i fattori che espongono alcuni ad essere più a rischio per l’infezione, è vero anche per il modo in cui possiamo convivere con la presenza del virus. Ognuno di noi è entrato in quarantena:

  • in una fase del ciclo di vita;
  • con ruoli e funzioni diverse all’interno della famiglia e della società;
  • mentre viveva momenti felici o drammatici della vita;
  • in un particolare contesto socio-economico. 

Ciascuna fase del ciclo di vita ha compiti di sviluppo, bisogni e caratteristiche diverse: affrontare questa esperienza dal punto di vista di un bambino, di un adolescente, di un adulto, di un anziano ci pone di fronte a molteplici sfaccettature e differenze.

Non possiamo non pensare, inoltre, alle singole storie che ci possono far immaginare condizioni di vita molto diverse. Tante persone si trovavano già prima ad affrontare condizioni stressanti e dolorose come divorzi, malattie, lutti. Altre si trovavano ad affrontare momenti di crescita come la laurea, il matrimonio, la carriera.

Il coronavirus è entrato come personaggio in tutte le storie ma il ruolo che ha assunto (secondario o principale) e le possibilità che ne sono nate sono molteplici. E allora può essere utile chiederci: il mio modo di stare in questa situazione in cosa è diverso da quello dell’altro?

Ciò che ci accomuna può aiutare a sentirci tutti parte attiva della situazione e ad assumerci le nostre responsabile. Ma è altrettanto importante riconoscere le differenze per comprendere e accogliere l’altro e a trovare soluzioni rispettose dei diversi i punti di vista. Tener presente le diversità, accoglierle e rispettarle in famiglia e fuori è centrale.

Coronavirus, i figli e la famiglia

La famiglia è il luogo di elezione in cui somiglianze e differenze si incontrano e si scontrano. Poter accostare i punti di vista, tenendo conto dei diversi ruoli e funzioni, ma accogliendo i bisogni emotivi di ciascuno è fondamentale. Le esigenze di un ragazzo o di una ragazza, ad esempio, possono essere diverse da quelle di un adulto.

Molti adolescenti stanno manifestando il bisogno di tornare a uscire fuori casa, per vivere spazi differenziati in cui incontrarsi con i pari. Altri trovano protettivo restare nella propria stanza e non hanno ancora messo piede fuori dal portone di ingresso.

Possiamo chiederci: come posso coniugare il mio bisogno di proteggere mio/a figlio/a da comportamenti rischiosi con il suo bisogno di recuperare una dimensione sociale? Quale dialogo possiamo costruire intorno a questo? Oppure: come posso mettere accanto al mio desiderio di vedere mio/a figlio/a uscire e comportarsi “normalmente”, la sua paura a incontrare i coetanei? Si tratta solo del virus o c’è altro?

Porci in questa prospettiva ci aiuta a coltivare il dialogo, a non considerare il nostro punto di vista come unica verità (es. mio figlio deve uscire per stare bene/mio figlio deve stare in casa per stare bene) e ad aprirci a quello altrui, ad allargare la gamma delle possibilità e costruire insieme cosa vuol dire in questo momento ripresa dei contatti sociali, protezione, normalità. 

Tornare alla vita di prima?

Porci nella prospettiva di tornare al prima, alla normalità come si sente dire ripetutamente in questi giorni, che rappresenta uno standard e un modo di essere rigidamente definito, può essere molto rischioso. Corriamo il pericolo di attaccarci a un unico modo possibile di essere e soprattutto di negare ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo.

Potrebbe significare intrappolare tutte le nostre emozioni e lo stress psicologico legati al COVID-19 in un luogo indicibile e impensabile. Oppure perderci un’occasione di crescita, di attraversamento delle difficoltà e di ricerca di soluzioni creative e resilienti.

Potremmo più elasticamente immaginare di andare avanti pensando e costruendo nuove e molteplici normalità, in continuità con ciò che c’era prima, tenendo conto di ciò che c’è stato nel mezzo e di ciò che ci può stare nel presente e immaginando il futuro. Diventa forse in questa prospettiva più possibile pensare a tempi e modalità adeguate per sé e coerenti con ciò che proviamo.

Cercare un nostro personalissimo passo per continuare a camminare nel mondo, rispettando i tempi dei nostri cari. Un cammino che non può essere costante e continuo. Possiamo immaginarci salite, discese, momenti di pausa, momenti in cui abbiamo voglia di correre e altri in cui non abbiamo la forza di fare neanche un passo. E può andare bene anche così.

Da leggere: come trovare clienti per psicologi

Attenzione alle parole per raccontare 

Le descrizioni sono importanti, le parole che scegliamo per dire, per raccontare ciò che viviamo ci aiutano a dare senso, a costruire narrazioni condivise. E contribuiscono a generare realtà. 

In queste settimane abbiamo raccontato ciò che ci stava accadendo, iniziando con “andrà tutto bene”, un invito alla speranza, alla fiducia nato per i più piccoli, che ci ha commosso e dato coraggio. Ma non è bastato. Di fronte alle immagini, ai racconti, alle esperienze, alla stravolta quotidianità abbiamo capito che quella frase poteva continuare a essere autentica solo se diventava capace di accogliere il dolore, la sofferenza, la rinuncia. Solo se ci impegnavamo a stare in ciò che c’era, nel modo migliore possibile.

Tutta la carica emotiva, l’angoscia e il dolore sono passati attraverso l’uso di metafore belliche, nel racconto della malattia come un nemico da combattere, con malati-guerrieri, medici e infermieri- soldati-eroi a sottolineare la straordinarietà di ciò che si stava facendo. Solo che mentre elogiavamo le grandi battaglie compiute negli ospedali contro il virus, finivamo per farci la guerra tra noi, alla ricerca giornaliera di un nemico da condannare e combattere, alimentando una cultura fondata sullo stigma, sulla ricerca del capro espiatorio, sul giudizio e sull’attacco.

Rischiando di svilire l’impegno di chi ha messo in pericolo la propria vita lavorando, la sofferenza di chi si è ammalato e di chi ha perso una persona cara. Pensare in termini di guerra alimenta l’odio e non ci aiuta a coltivare ciò che può sostenerci nella sofferenza: la vicinanza con l’altro.

La guerra è il tempo dell’odio. In guerra per sopravvivere si è costretti a uccidere l’altro. […] Invece questo di oggi è il tempo della vicinanza e della solidarietà. Il nemico è esterno all’umanità e gli uomini sono costretti a unirsi per far fronte alla comune minaccia.

Luigi Cancrini

Oggi parliamo più spesso di convivenza con il virus. E la convivenza ci rimanda alla cura, all’attenzione, all’ impegno che dobbiamo assumerci, anche nel dire o non dire. Vivere insieme nel rispetto reciproco, ricordandoci che quello che scegliamo di fare non solo influenza la nostra salute, ma anche quella altrui.

Benessere mentale e COVID-19: fonti