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25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza (maschile) contro le donne. Oggi tutti parlano della violenza contro le donne; se ne parla al TG, se ne parla attraverso mostre, seminari, spettacoli, trasmissioni televisive: una gran voce si leva e con determinazione abbatte il muro di silenzio che caratterizza la violenza maschile contro le donne. Eppure il silenzio sembra esserci anche in questo grande parlare.

Il silenzio continua a caratterizzare la violenza maschile contro le donne. E assume tante facce. Forse non è più solo il silenzio che nasconde la violenza, quello che per anni, decenni, e ancora oggi impone di tacere, di non denunciare, di dire “sono inciampata” oppure “lui mi ama troppo“.

Il silenzio che si impone come negazione della violenza stessa, la quale finisce talvolta per essere pensata e accettata come destino inevitabile per una donna (e per un uomo).

La negazione della violenza continua a far paura e a essere parte importante del fenomeno. E tuttavia, anche giornate come questa ci aiutano a ricordare che il silenzio, a gran fatica, ha preso voce.

La voce delle donne

Le donne nei decenni hanno lottato per poter far sentire la propria voce, per poter far riconoscere che la violenza non è un destino inevitabile, ma un reato che si perpetua nel tempo, alimentandosi di una disparità di genere che trova radici culturali profonde e ben radicate.

Attualmente sembra che la violenza non sia, non possa essere rappresentata come un destino femminile. Le donne, anche grazie a tutte quelle che hanno parlato prima, parlano di più, conoscono di più, denunciano di più. Eppure la violenza maschile persiste e anzi può diventare ancora più feroce proprio nel momento in cui, di fronte all’affermazione femminile, alla donna che prende in mano la propria vita, l’uomo si sente sprovvisto nella maniera più assoluta e più devastante del suo “potere”, che si alimenta di possesso, controllo, gestione dell’altra.

La violenza può diventare ancora più feroce, crudele, spietata nei processi di separazione, quando la donna decide, quando la donna si propone con forza come altro da sé, con la consapevolezza dei propri pensieri, emozioni, scelte. Con la consapevolezza che altre donne lo hanno fatto e che ci sono istituzioni che possono aiutare.

Il silenzio più forte

Oggi il silenzio non è più soltanto quello che nasconde, ma anche quello che allontana. Tutti/e sembriamo riconoscere la violenza come problema, come reato, come fenomeno da combattere e prevenire. Ma spesso lo allontaniamo, lo guardiamo da lontano, come “cosa” che non ci riguarda.

Eppure la dimensione culturale che sostanzia la violenza è profondamente radicata nei nostri modelli, nella nostra cultura, nei libri di scuola, nelle pubblicità, nei modi di dire, nelle rappresentazioni che ci costruiamo su cosa è per noi essere donna ed essere uomo all’interno delle relazioni.

La violenza ci riguarda tutte, non solo le donne che l’hanno subita o quelle che lavorano nell’ambito del contrasto alla violenza di genere. Non è un qualcosa che accade lontano; è qualcosa che c’è, che respiriamo, che è presente nelle nostre storie.

E la violenza maschile riguarda tutti gli uomini.

Quel (maschile) tra parentesi

Le parentesi che spesso ci troviamo a mettere o subire quando parliamo di violenza (maschile) sulle donne forse possono fare la differenza. Possono indicarci un altro silenzio, la possibilità di continuare a considerare secondario il focus sul maschile, oppure proprio oggi possono aiutarci a dare importanza, anche in virtù di una maggiore e più chiara voce femminile, e forse addirittura la stessa priorità, alla voce maschile.

Non alla voce della violenza, che tende a generalizzare, ad allontanarsi dalla specificità della violenza di genere per guardare alla violenza in genere. O alla violenza che le donne agiscono. Un ulteriore modo di silenziare, come a dire: la violenza esiste, inutile occuparsi di questo fenomeno specifico. Al contrario, quelle parentesi possono aiutarci a dare voce ad un maschile che non ha voce, che fa fatica a parlare di sé.

Parentesi tonde, quadre e graffe

Un po’ come accade nelle espressioni di aritmetica: prima si guarda alle parentesi tonde, poi alle quadre, poi alle graffe. Il focus principale è e rimane la protezione della donna vittima di violenza, che in molti casi significa salvare la sua vita e quella dei bambini e delle bambine. Ma forse non basta.

Quella parentesi isolata dal dialogo con tutte le altre finisce per non considerare la complessità del fenomeno che sta nella relazione tra uomini e donne, nella possibile declinazione del maschile e del femminile nella cultura. E allora una possibile espressione potrebbe essere:

⎨La violenza ci riguarda tutti: [(uomini) e (donne)]⎬

Iniziamo dalle parentesi tonde, dalle donne e dagli uomini, iniziamo da noi, per poter interrogarci su come siamo uomini e donne nelle relazioni, su come possiamo essere. Le risposte per contrastare il fenomeno e per migliorare la qualità delle relazioni tra uomini e donne devono e possono arrivare da ognuno di noi.

Ognuno può partire da sé, dalle proprie relazioni, dalla propria vita e dall’esplorazione di tanti modi possibili di essere con l’altro/a, alternativi alla violenza.

Arriviamo alle parentesi quadre, alla relazione tra uomo e donna, e poi alle graffe, a come le relazioni di coppia – ma non solo – si declinano nella famiglia, nella società e nella cultura. Arriviamo, forse, anche e poter togliere quelle parentesi senza però dimenticarci della loro presenza e necessità, del riconoscimento di confini e differenze.

La voce maschile

Silenzio. Oggi forse un’altra componente del silenzio pesante, oserei dire assordante, è il silenzio maschile. C’è bisogno della voce maschile, che dialoghi con il silenzio, che dialoghi con quella femminile.

E non perché le donne abbiano bisogno di uomini per essere protette e difese. La voce maschile di denuncia, di condanna l’abbiamo spesso già sentita (per fortuna). Spesso tuttavia finisce per oggettivare ancora una volta la donna come essere “debole” da difendere da uomini cattivi e spietati. La voce può servire per allontanare la violenza da sé, per relegarla a categorie ben definite di uomini, che finiscono per essere l’altro, lontano e diverso.

Da leggere: cos’è la violenza assistita?

No. La violenza ci riguarda tutti

C’è bisogno della voce di chi si interroga, di chi riconosce il proprio coinvolgimento, di essere parte, di stare dentro quell’espressione. Di chi riesce a sperimentare modi possibili per entrare in contatto con la rabbia, l’impotenza, il dolore, la perdita, il controllo e riesce a tracciare delle strade alternative. Strade da offrire come mappe possibili per altri uomini, per liberarsi dalle “catene” di un modello culturale che imprigiona da secoli la donna, e imprigiona anche l’uomo.

Quali modelli maschili sono proponibili di fronte alle fragilità di quelli culturalmente dominanti, che non ammettono fragilità? Quali alternative possiamo pensare al silenzio, al diniego? Come possiamo pensare al dialogo tra quelle due parentesi tonde [(donne) (uomini)] senza che dare voce all’una significhi togliere voce all’altra?

Un dialogo possibile tra uomini e donne

Potrebbe sembrare dissacrante parlare di voce maschile nel giorno in cui è centrale la voce delle donne. Invece credo che la possibilità di costruire insieme, uomini e donne, un dialogo sia una delle strade più feconde per costruire alternative. Non solo per il contrasto alla violenza, ma anche per migliorare la qualità delle relazioni nei diversi contesti, per rendere una giornata come questa non più necessaria.