Nell’articolo 1 della dichiarazione dell’Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne essa viene definita “ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”.
Molto spesso, durante gli incontri di sensibilizzazione nelle scuole e nei discorsi quotidiani, mi è stato chiesto come mai si parla di violenza sulle donne, quando nel mondo ci sono tante forme di violenza. Anche quella delle donne sugli uomini, ad esempio. Il motivo, purtroppo, è semplice: la violenza sulle donne è una forma di violenza che assume una sua specificità sia in relazione alla diffusione, sia in relazione alle radici a partire dalle quali nasce e si alimenta.
Le statistiche (Istat 2014) ci forniscono dei dati paurosi: 6 milioni 788 mila sono le donne che dichiarano di aver subito una forma di violenza nel corso della vita. E la statistica non è una questione di numeri. Quei numeri sono vite umane.
La violenza contro le donne
Ma c’è un altro aspetto importante e riguarda la specificità della violenza di genere. Le donne vengono picchiate, umiliate, torturate, seguite, colpite perché donne. Si tratta, dunque, di una forma di violenza basata sul genere. Ovvero sulla discriminazione delle donne in base al sesso.
La violenza maschile contro le donne costituisce, in tutti i paesi del mondo, un problema grave e diffuso, definito dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), un’emergenza sanitaria di ordine pubblico. L’esperienza della violenza ha, infatti, un impatto molto grave sulla salute fisica e psicologica delle donne.
Rappresenta una sorta di indicatore del permanere di una condizione storicamente ineguale, di svantaggio dei rapporti tra uomini e donne. Tale condizione ha portato a una ineguale realizzazione dei diritti, a forme di discriminazione e a ostacoli nel conseguimento della parità di genere.
Radici e pregiudizi sulla violenza
La violenza di genere trova radici e si nutre della cultura della disparità. Una cultura che guarda alle differenze tra uomini e donne come motivo di discriminazione. Si fonda su una cultura maschilista, che guarda alla donna come persona subordinata, spesso considerata un “oggetto”.
Un oggetto posseduto (“sei mia e solo mia”) per il quale l’uomo presume di avere il potere di decidere della libertà e della privazione di libertà, del modo di vestire, delle persone da frequentare, di quando avere un rapporto sessuale, di quando si sta esagerando e così via, in una spirale che spesso finisce in tragedia.
Il fenomeno si nutre, inoltre, di convinzioni stereotipate secondo le quali la violenza è considerata un comportamento minoritario, riguardante un numero limitato di persone e per di più appartenenti a categorie sociali circoscritte. Spesso si pensa che gli autori di violenza siano tossicodipendenti o alcolisti, che appartengano a categorie sociali svantaggiate o che siano malati di mente.
La violenza di genere è trasversale
Immaginiamo l’uomo violento come altro da noi, lontano dalle nostre vite, dalle nostre case, a volte lo immaginiamo come vero e proprio “mostro”. Spesso ci immaginiamo che la violenza sia agita soprattutto per strada, da sconosciuti (Bertolani, Gli uomini e la violenza maschilista. La testimonianza delle donne). La realtà ci informa che la violenza di genere è un fenomeno trasversale e riguarda:
- tutti i contesti sociali
- tutte le professioni
- tutte le culture.
Inoltre, essa è agita quasi sempre da persone con cui la donna ha o ha avuto delle relazioni significative di tipo amoroso o affettivo: secondo i dati Istat 2014 i partner attuali o ex commettono le violenze più gravi.
Quanti tipi di violenza di genere
Quando si parla di violenza di genere si fa riferimento a tutte le forme di violenza che subiscono le donne da parte di uomini. Alcune delle forme di violenza sono le seguenti.
La violenza fisica
La violenza sessuale
Soltanto dal 1996 la violenza sessuale ha cessato di essere considerata “un crimine contro la morale pubblica” ed è stato pienamente riconosciuto come un “crimine contro la persona”.
Nella normativa nazionale la violenza sessuale si riferisce a qualunque situazione in cui, con la forza o con la minaccia o l’abuso di autorità, una persona venga forzata a commettere o subire atti sessuali (Codice penale, articolo 609bis) ed include pertanto lo stupro e le molestie sessuali.
La violenza psicologica
La violenza psicologica può assumere molte forme diverse nella relazione: denigrazione, insulti, controllo, intimidazioni. Ecco una citazione presa dal sito www.istat.it:
Tra le forme di controllo, compaiono l’imposizione da parte del partner di come vestirsi o pettinarsi, l’essere seguite e spiate, l’impossibilità di uscire da sole, fino alla vera e propria segregazione; tra le forme di svalorizzazione e violenza verbale vengono descritte le situazioni di umiliazioni, offese e denigrazioni anche in pubblico, le critiche per l’aspetto esteriore e per come la compagna si occupa della casa e dei figli e le reazioni di rabbia se la donna parla con altri uomini; infine tra le forme di intimidazione sono compresi dei veri e propri ricatti come portare via i figli, le minacce di fare del male ai figli e alle persone care o a oggetti e animali, nonché quella di suicidarsi.
Una forma di violenza psicologica molto diffusa riguarda l’isolamento della donna e le limitazioni nel rapporto con la famiglia di origine o gli amici. Spesso ne sentiamo parlare anche in programmi tv o in testimonianze di donne che raccontano la propria esperienza: il vuoto relazionale e la solitudine diventano un’ulteriore difficoltà a trovare una via d’uscita.
La violenza economica
L’aspetto economico, molto legato alle dinamiche di “potere” all’interno della coppia e della famiglia, spesso diventa veicolo della violenza, del controllo, della limitazione della libertà.
Sono vittime di violenza economica le donne che non hanno la possibilità di utilizzare il proprio denaro, che sono costrette a mettere il proprio stipendio a disposizione del partner, che sono continuamente controllate su come e quanto spendono. Donne alle quali è impedito di conoscere il reddito familiare, alle quali è negato il diritto all’assegno familiare.
Lo stalking
Lo stalking è definito nel testo della Legge 23 aprile 2009 come qualsiasi “continuativo maltrattamento, minaccia o persecuzione di comportamento che provoca uno stato di ansia e paura nella vittima; o genera all’interno della vittima una paura motivata per la propria sicurezza o per la sicurezza dei familiari, o di altri che sono associati alla vittima da una relazione affettiva; o forza la vittima a cambiare le proprie abitudini di vita“.
La violenza assistita
Il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) ha proposto nel 2003 la seguente definizione descrittiva:
“Per violenza assistita da minori in ambito familiare si intende il fare esperienza da parte del/lla bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori. Si includono le violenze messe in atto da minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia, e gli abbandoni e i maltrattamenti ai danni degli animali domestici. Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando avvengono nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore ne è a conoscenza), e/o percependone gli effetti”.
La violenza assistita è un’esperienza molto diffusa, perché spesso gli uomini autori di violenza sono padri. Ci sono dunque spesso bambini e bambine che assistono, sentono o percepiscono la violenza in famiglia.
Questo aspetto è uno dei più drammatici, non soltanto (e già questo basterebbe) perché la salute di bambini e bambine è compromessa, ma anche perché tali minori saranno donne e uomini. La letteratura scientifica descrive che c’è una trasmissione intergenerazionale della violenza.
Uscire dalla violenza di genere
Uscire da una relazione violenta non è semplice. Spesso all’interno della relazione di coppia si vive un senso di confusione, alimentato dall’idea dell’amore romantico, un amore caratterizzato dalla rinuncia alI'”Io” per salvaguardare il “noi”. La violenza spesso non è riconosciuta come tale, ma è percepita in modo confuso come segno e dimostrazione di amore, come segno di una significatività del rapporto e può diventare un veicolo per l’intimità all’interno della coppia.
Inoltre, spesso anche quando ci si rende conto di vivere una relazione violenta, si tende a salvaguardare l’unione familiare. Spesso la paura prende il sopravvento e le donne si possono sentire in trappola, senza via d’uscita.
La via di uscita per le donne c’è e credo si trovi dentro di sé. Il percorso di uscita dalla violenza può cominciare dal riconoscere la violenza e la pericolosità, dal legittimare i propri confini, i propri desideri, le proprie debolezze, affrontando le proprie responsabilità e il senso di colpa.
Forse la si può trovare quando ci si dà la possibilità di chiedere aiuto, di affidarsi. Molto importante è quindi trovare persone e/o esperti in grado di accogliere i vissuti della donna e aiutarla a uscire dalla relazione violenta nonostante l’ambivalenza, la paura, il terrore di non farcela.
Esistono molti servizi dedicati alle donne vittime di violenza e ciò ha reso possibile per molte donne l’individuazione di una via di uscita. Ecco una mappatura di tutti i Centri anti-violenza in Campania.
E gli uomini?
Gli uomini possono raggiungere diversi livelli di consapevolezza, ma è raro che riescano a riconoscersi come autori di violenza, la quale spesso viene ad assumere un senso accettabile nella cornice della propria vita, della propria storia di coppia, della propria personalità.
Ci sono uomini che riconoscono di aver commesso violenza, ma non ne riconoscono la gravità o le conseguenze sulla vita della propria compagna/moglie/fidanzata. Spesso gli uomini leggono la violenza come “adeguata” risposta alle provocazioni altrui: “se l’è cercata”.
Una via di uscita è possibile anche per gli uomini. Per quanto fondamentale, non basta che per gli autori di violenza l’unica strada percorribile sia quella del processo giudiziario, che si può intraprendere purtroppo e spesso solo dopo, quando in alcuni casi è troppo tardi.
Occorre allestire le condizioni perché sia possibile intervenire anche prima, dando agli uomini che sono ancora in relazioni in cui agiscono violenza la possibilità di pensare di poterne uscire, di curarsi, di “salvare” se stessi e la partner.
Prendere in carico gli uomini violenti, in altri termini, è un’evoluzione necessaria nel percorso culturale e sociale di contrasto alla violenza di genere, un passaggio che forse tutela ancora di più le donne: le attuali partner e le future.
Esistono servizi che accolgono uomini autori di violenza, come lo sportello dell’Asl Oltre la violenza, situato a Napoli, presso il quale ho lavorato come psicologa volontaria. Lo sportello è da “intendersi come una possibilità per operatori e utenti di ripensare le relazioni affettive, mettendo in primo piano il rispetto del-la alterità e della dignità di ciascuno”.
Psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale, mi occupo di psicoterapia della famiglia, della coppia e dell’individuo.
Bellissimo anche questo articolo, lo condividerò a scuola con le ragazze e i ragazzi.
Grazie Paola, resto in attesa di feedback della tua esperienza con i ragazzi e le ragazze a scuola. Buon lavoro