Nella società postmoderna è molto cambiato il percorso che conduce all’età adulta, il raggiungimento della fase della vita in cui ci si può definire ed essere riconosciuti come adulti. Una fase che sembra essersi dilatata, come estensione dell’adolescenza, e che si può protrarre fino ai 35 anni. Questo periodo della vita viene chiamato fase dei giovani adulti.
Il termine è stato coniato dalla Psicologia dello Sviluppo per indicare una fase di adolescenza prolungata, una fase in cui ci si avvia verso l’età adulta in modalità e forme molto meno definite oggi rispetto al passato (Lingiardi e Giovanardi). Una fase che può durare per un periodo più o meno lungo. In Italia, qualcuno direbbe, un periodo molto lungo, più ampio rispetto a quanto avviene in altri paesi europei.
Chi sono i giovani adulti
Fino a qualche decennio fa la transizione appariva come processo più precoce e netto, gestito da un’uscita definita dalla propria famiglia di origine, dall’inizio di una vita professionale piuttosto stabile e dalla presenza di scelte definitive e spesso non reversibili. Oggi si vive un periodo di transizione molto più lungo, spesso caratterizzato dalla mancanza di riti di passaggio (fidanzamento, contratto di lavoro, matrimonio etc.) e da scelte vissute come reversibili (Scabini e Cigoli).
Sembra che siamo immersi in una costante fase di sperimentazione adolescenziale, un lungo tirocinio di vita, al quale spesso facciamo fatica a mettere un punto, per intraprendere strade più definite. Un po’ come avviene anche sul lavoro: costretti a passare da un tirocinio all’altro, da una formazione all’altra, nell’attesa di giungere poi a un “lavoro vero”.
Qual è il sostantivo e quale l’aggettivo?
I giovani così si trovano a non essere più solo “giovani”, ma nemmeno a essere già solo adulti. Sono giovani adulti. Ma qual è il sostantivo e quale l’aggettivo? Recuperando l’etimologia delle due parole, entrambe possono essere considerate aggettivo e sostantivo:
- adulto aggettivo – Cresciuto, di persona che ha raggiunto il completo sviluppo fisico e psichico; frequente come sostantivo.
- giovane aggettivo – Che si trova nell’età della giovinezza; sostantivo maschile e femminile – Persona di età giovanile.
Parliamo di giovani adulti o di adulti giovani? Nel primo caso mi viene da pensare a un adulto in miniatura, come se ci si aspettasse che il giovane debba già avere delle competenze da adulto, ma non è ancor pienamente tale. Nel secondo caso mi viene da pensare che c’è un adulto che ha raggiunto i compiti di sviluppo che caratterizzano questa fase della vita, ma mantiene un piede nella gioventù.
Forse parliamo di entrambi: così come ci sono i giovani che vivono un lungo periodo di passaggio all’età adulta, ci sono anche tanti adulti (spesso i loro genitori) che fanno fatica a vivere il distacco dalla giovinezza, ad avviarsi verso l’età anziana, che appare sempre più lontana nel tempo.
La transazione all’età adulta riguarda, infatti, l’intera famiglia e la relazione tra l’individuo e i genitori e/o la famiglia di origine. Anche i genitori affrontano una nuova fase della vita, si preparano a tornare “coppia”, a diventare nonni, ad accogliere nuovi membri nella famiglia, ad occuparsi dei propri genitori anziani e così via.
Quali sono i compiti di sviluppo dell’età adulta?
Certo può essere difficile dire quali aspetti caratterizzano la vita adulta, soprattutto considerando la fluidità contemporanea. Non dobbiamo pensare a un passaggio netto, tuttavia sono stati evidenziati compiti di sviluppo che possono aiutarci a riconoscerne gli aspetti significativi.
Essi riguardano la definizione e la realizzazione di un progetto di vita, che comprende la possibilità di definirsi maggiormente da un punto di vista affettivo, predisponendosi a impegnarsi in una relazione stabile, e lavorativo, mirando a una realizzazione professionale (Cigoli e Scabini).
Se l’adolescenza è il momento della vita in cui la conoscenza e la sperimentazione di sé sono protagoniste, il giovane adulto si incammina verso una maggiore definizione di sé, delle proprie caratteristiche, scelte lavorative, affettive, relazionali.
Uno degli aspetti più complessi da affrontare è forse l’elaborazione delle tante possibilità immaginate e perdute. Aspetto forse oggi più complesso e difficile di ieri, data la possibilità di entrare in contatto con il mondo, di conoscerne, soprattutto attraverso internet, le infinite possibilità.
Il trentesimo anno
Dal mio unto di vista il passaggio cruciale che si vive nel trentesimo anno, inteso come età di passaggio simbolica è proprio la definizione delle scelte fatte, la constatazione dei limiti e delle possibilità ad esse legate.
Quando ho compiuto 30 anni, uno dei miei Professori della Scuola di Specializzazione in psicoterapia (IIPR Napoli), Catello Parmentola, mi ha suggerito di leggere Il trentesimo anno, un racconto di Ingeborg Bachmann, del 1985. In questi due anni l’ho letto varie volte e uno dei punti che continua a colpirmi di più riguarda proprio l’aspetto di passaggio dal vivere alla giornata, immerso nei sogni di mille possibilità da definire, al riconoscere una possibilità: essere se stessi.
Di uno che entra nel suo trentesimo anno non si smetterà di dire che è giovane. Ma lui, benché non riesca a scoprire in se stesso nessun mutamento, non ne è più così sicuro: gli sembra di non avere più diritto di farsi passare per giovane.
[…] Prima di allora aveva semplicemente vissuto alla giornata, ogni giorno tentato qualcosa di nuovo, senza ombra di malizia. Si immaginava di avere innumerevoli possibilità e credeva, per esempio, di poter diventare qualsiasi cosa: un grand’uomo, un faro per l’umanità, uno spirito filosofico.
Oppure un uomo attivo e capace […] Oppure un rivoluzionario […] O un fannullone saggio […] Per questo si era cullato per tanti anni nei pensieri più estremi, nei progetti più mirabolanti, e poiché non possedeva altro che giovinezza e salute, e gli sembrava di avere davanti a sé ancora tanto tempo, aveva detto di sì a ogni lavoro occasionale.
[…] Mai neanche per un attimo, aveva temuto che il sipario potesse alzarsi ora sul suo trentesimo anno, che toccasse a lui pronunciare la battuta, che un giorno avrebbe dovuto dimostrare ciò che realmente era capace di pensare e di fare, e confessare di che cosa gli importasse davvero. Non aveva mai pensato che di mille e una possibilità forse già mille erano ormai sfumate e perdute – oppure che sarebbe stato costretto a perderle perché una sola era la sua.
Ma è davvero così? Dobbiamo abbandonare le mille possibilità per crescere? Oggi sembra che tali possibilità siano sempre lì, dietro l’angolo. Certo, crescendo, prendendo scelte, necessariamente altre strade si chiudono, definiamo percorsi e prospettive. Ma siamo davvero disposti a considerare una o poche strade come percorribili?
Cresciamo, forse nel 2018, con un maggior senso di angoscia rispetto alle scelte definitive: matrimonio, lavoro a tempo indeterminato, la casa arredata con mobili programmati a durare decenni. Forse questo è un punto di debolezza di noi “giovani adulti”, ma forse anche uno dei nostri punti di forza, che ci permette di poterci adattare, di poter rivedere i propri progetti in corso d’opera.
Le radici: vincoli e possibilità
L’età adulta più che un traguardo, il raggiungimento di certezze, può essere intesa come la capacità di poter continuamente guardare alla grandezza del mondo, alle infinite possibilità, a tutte quelle desiderate e a tutte quelle possibili e comunque, inevitabilmente, scegliere.
Guardare alla propria storia, ai vincoli, limiti e possibilità, che possono nascere. Riconoscere le radici che ci tengono “legati” e le ali che ci permettono di volare, entrambi come elementi necessari.
Alle volte questa fase può essere vissuta con grande disagio. Tanti possono essere i modi attraverso cui la sofferenza può manifestarsi. Spesso questo disagio è legato al non riuscire a trovare un ritmo armonico nella danza tra appartenenza e individuazione.
Tra il riconoscersi come parte di una famiglia, di una storia, di un contesto ma anche potersi affermare e riconoscere nelle differenze, nella propria individualità, tra l’essere indipendenti e l’essere legati alle proprie origini. Le parole di Ingeborg Bachmann, ritornano a descrivere egregiamente questo aspetto:
Come mai per una intera estate ho cercato la distruzione nell’ebbrezza, oppure l’esaltazione nell’ebbrezza? Certo, solo per non dovermi rendere conto che sono uno strumento fuori uso sul quale, tanto tempo fa, qualcuno ha suonato qualche nota, che io nella mia inquietudine continuo a variare, e da cui tento con rabbia di ricavare un brano musicale che porti la mia firma. Come se fosse importante che ci sia qualcosa che porti la mia firma!
Cresciamo, forse, con il desiderio di scrivere note completamente nuove, di distinguerci. Forse le possibilità di crescita stanno nel rinunciare a trovare una musica del tutto nuova, ma partire dalla musica già nota, scritta dai propri genitori, dalle esperienze pregresse, dalla propria storia e integrarla con nuove note, uno stile, un ritmo musicale.
Il pianoforte è fatto da 88 tasti
Se nell’adolescenza si crede di poter avere tutti i tasti che si desiderano o di poter essere qualsiasi strumento e suonare qualsiasi tipo di musica. Nell’età adulta l’evoluzione e la ricerca continuano. Ma è auspicabile che partano in modo più onesto e autentico da se stessi, alla ricerca di sé. Il monologo teatrale Novecento di Baricco mi ha aiutata molto a riflettere su questo aspetto:
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/ Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi/ Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita/ Se quella tastiera è infinita, allora/ Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare.
Gli 88 tasti sono il vincolo dal quale si parte. Ognuno di noi ha i propri 88 tasti, la propria nave sulla quale imparare a vivere nel migliore dei modi. Nella relazione tra il pianista e il pianoforte, tra il giovane adulto, il suo passato, il suo presente, nascono infinite possibilità, infinite note.
La storia di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, un bambino nato e cresciuto piroscafo Virginian, al riparo da un mondo troppo grande per essere compreso ed esplorato, si sviluppa e si conclude lì: sceglie di restare sulla nave, anche quando è destinato alla morte.
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato così.
La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro.
Alcuni definiscono la sua scelta come caratterizzata dalla paura; io non so se può essere definito un uomo che ha avuto paura della vita, che ha scelto di vivere attraverso la vita degli altri, gli ospiti della nave, oppure un uomo che, a partire dalle sue premesse, ha vissuto la vita che poteva nel modo più intenso possibile per lui.
Cosa significa per te giovane adulto?
Ognuno di noi crescendo impara a riconoscere e definire il proprio mondo, con dei confini, i propri 88 tasti: un lavoro, una famiglia, una casa, una città, una passione. All’interno di questi confini il processo può essere vario, aprirsi a tanti sviluppi diversi e qualche volta portarci a cambiare forma.
Psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale, mi occupo di psicoterapia della famiglia, della coppia e dell’individuo.