Mercoledì 10 ottobre ho tenuto insieme alla collega, dott.ssa Giovanna Vasto, un seminario dal titolo “Diverse Strategie di Apprendimento” presso la Scuola Adolphe Ferriere di Napoli, nell’ambito della IX edizione della Settimana per il Benessere Psicologico in Campania.
L’argomento DSA ha suscitato il mio interesse vari anni fa. Ho iniziato a occuparmi di difficoltà di apprendimento dopo la laurea in psicologia. I miei studi di matrice sistemica e l’incontro con l’ecologia della mente, mi hanno aiutato ad allargare il mio punto di vista. Riuscendo a mettere insieme le conoscenze neuro-psicologiche e diagnostiche con la dimensione psicologica e relazionale.
Indice degli argomenti
Il mito di Procuste
Io e Giovanna abbiamo deciso di aprire l’incontro, rivolto a genitori e insegnanti, raccontando il mito di Procuste: un leggendario brigante greco, che assaliva i passanti e li metteva su un letto.
Se il malcapitato risultava più corto del letto lo stirava con forza; se risultava più lungo tagliava la testa o i piedi che sporgevano. Così facendo, le persone risultavano della stessa lunghezza del suo letto.
Cosa c’entra Procuste con i DSA?
Quando spieghiamo un fenomeno facciamo un’operazione simile. Nel realizzare una spiegazione sulla base delle nostre teorie, infatti, una parte delle informazioni si perde. E un’altra parte viene deformata in modo che possiamo adattare il fenomeno studiato alla teoria di riferimento, alle nostre premesse.
“La spiegazione non è una cattiva cosa perché, per quanto comporti la perdita di informazioni, spesso allarga la nostra possibilità di comprensione di un fenomeno. Quando vi facciamo ricorso, tuttavia, dobbiamo sapere che spiegare non è dire la verità“.
– G. Madonna, La psicoterapia attraverso Bateson, 2013.
Ci comportiamo come Procuste ogni volta che proviamo ad incasellare la complessità dell’essere umano, dimenticandoci dell’operazione che stiamo facendo. Così il nostro letto di tortura può diventare la diagnosi, se la utilizziamo come etichetta per descrivere una persona. O quando dimentichiamo che il bambino è parte di un sistema più ampio che lo comprende.
Il nostro letto di Procuste può diventare anche non riconoscere la presenza di un disturbo dell’apprendimento. Dimenticandoci che un bambino è chiamato continuamente a rispondere alle richieste esterne, a un mondo scolastico strutturato sull’apprendimento della scrittura, della lettura e del calcolo. Se la presenza del disturbo non viene riconosciuta può trovarsi in situazioni di disagio.
Per evitare di correre il rischio di confondere le spiegazioni con la verità o di dimenticarci della complessità che stiamo lasciando fuori dalla nostra spiegazione, uno dei modi è provare a guardare a un fenomeno, nel nostro caso i DSA, da punti di vista molteplici.
D come complessità
Come ci suggeriscono G. Stella e L. Grandi nel libro “Come leggere la dislessia e i DSA”, la D dell’acronimo DSA può assumere molti significati. Ciascun punto di vista è utile e da considerare non meno importante degli altri, anzi piuttosto da affiancare, per raggiungere una conoscenza che tenga conto della complessità di ogni singolo individuo e delle relazioni di cui è parte. La D può assumere almeno tre significati, che rimandano ad altri significati ancora, a storie di vita:
- D come disturbo.
- D come difficoltà.
- D come diversità.
D come Disturbo
I DSA sono disturbi del neurosviluppo, che riguardano specifiche aree di apprendimento (lettura, scrittura e calcolo) e non compromettono il funzionamento intellettivo generale.
Ciò significa che le persone con DSA sono intelligenti, ma hanno prestazioni che risultano al di sotto della norma nel leggere, scrivere e far di conto. Le classificazioni (DSM- 5, ICD-10) riconoscono 4 tipologie:
Dislessia
Un deficit nella velocità e nell’accuratezza della lettura. L’abilità di lettura (intesa come abilità di decodifica del testo) non risulta automatizzata e dunque leggere richiede un elevato dispendio di energie, con il rischio di commettere molti errori.
Disortografia
Disturbo della scrittura. Si manifesta nella cifratura, che risulta compromessa da errori ortografici significativamente superiori per numero e caratteristiche rispetto ad età e grado di istruzione.
Disgrafia
La disgrafia è un altro disturbo della scrittura che riguarda la componente grafo-motoria della scrittura. Cosa significa esattamente questo termine? Indica la difficoltà a scrivere in modo fluente ed efficace.
Discalculia
La discalculia si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo, nell’elaborazione dei numeri e nelle procedure esecutive del calcolo scritto. La discalculia può coinvolgere gli elementi basali dell’abilità numerica e le procedure esecutive implicate nel calcolo scritto.
La caratteristica dei DSA è la specificità, la compromissione dell’abilità specifica. Può accadere che siano compromessi più domini specifici di abilità e rintracciare in una persona la presenza di più DSA.
Come si individua un DSA?
Spesso i genitori o gli/le insegnanti si rendono conto di alcune difficoltà nei processi di apprendimento già a partire dalla scuola dell’infanzia. È importante che scuola e famiglia possano collaborare per osservare ciò che accade e valutare insieme come procedere. Può accadere che dopo un primo periodo di monitoraggio, di osservazione, i genitori decidano di consultare un esperto.
Definire la presenza di un DSA, attraverso una diagnosi neuro-psicologica funzionale, è un passo fondamentale: consente di conoscere e comprendere le caratteristiche del bambino, della bambina.
È importante ai fini riabilitativi e abilitativi, ai fini scolastici, per elaborare un adeguato PDP (Piano Didattico Personalizzato) e rivendicare un diritto di pari opportunità nell’istruzione, attraverso il riferimento alla legge 170/2010, che tutela gli alunni e le alunne con queste caratteristiche.
L’importanza della diagnosi funzionale
La diagnosi funzionale permette di arricchire la diagnosi nosografica (identificazione dell’etichetta diagnostica), descrivere il profilo di funzionamento, esplorare aree diverse della vita del bambino.
La valutazione delle abilità fondamentali di lettura, scrittura e calcolo e del livello cognitivo generale è solo il primo passo, uno degli aspetti di una diagnosi complessa. Risulta importante esplorare nel percorso di valutazione, in base alle difficoltà descritte, anche l’area linguistica, percettiva, prassica, motoria e individuare la presenza di comorbidità (presenza di altri DSA o di altri disturbi evolutivi).
Inoltre, la diagnosi funzionale consiste nell’esaminare le Funzioni Esecutive. Le persone con DSA hanno spesso una debolezza del Sistema Attentivo Supervisiore, deputato a fornire risorse attentive per lo svolgimento dei compiti (Benso, 2007).
Ad esempio possono avere difficoltà nei processi di memoria, nell’avviare un compito o passare da un compito all’altro, nel controllare i distrattori, sostenere l’attenzione, controllare pensiero e azioni.
Infine, la diagnosi deve tener conto anche degli aspetti emotivi e relazionali. L’individuazione precoce del disturbo è fondamentale per intervenire e fornire al bambino gli strumenti per compensare le sue difficoltà specifiche, ma anche per prevenire gli effetti del disturbo sugli aspetti psicologici.
D come Difficoltà
Oltre alle difficoltà specifiche legate alle caratteristiche dei DSA, i bambini e le bambine che presentano questi disturbi, si trovano ad affrontare molte difficoltà nel percorso scolastico, ma anche nella vita. Spesso si trovano a vivere un disagio emotivo, nelle relazioni a scuola o in famiglia.
Quando pensiamo all’apprendimento ci vengono subito alla mente le acquisizioni programmabili e definite dai programmi ministeriali. In altri termini, gli “oggetti esterni”, come imparare a scrivere una parola o a eseguire un’addizione. Più difficile sembra cogliere gli aspetti psicologici che possono riguardare lo stile di apprendimento, il valore dato dall’allievo alla materia, le aspettative, le emozioni provate mentre svolge il compito e così via (Conserva, 2000).
Ogni volta che una persona sta apprendendo un “oggetto esterno”, ad esempio a scrivere le lettere dell’alfabeto, sta anche apprendendo qualcosa sulla relazione tra sé e l’oggetto d’apprendimento (l’addizione o l’alfabeto), ma anche tra sé e i compagni,la maestra, i genitori e così via. Sta apprendendo qualcosa su di sé anche come soggetto che apprende.
L’importanza della relazione
Cosa apprenderà un bambino sulle sue abilità ad apprendere quando si trova in difficoltà a svolgere i compiti assegnati dalla maestra? Quando, nel confronto con gli altri bambini, si rende conto che è più lento, meno ordinato? Quando ottiene (prevalentemente) brutti voti? Cosa apprenderà quando i genitori gli dicono che deve stare attento, impegnarsi di più, quando anche a casa fare i compiti diventa un’impresa?
Questi aspetti, che riguardano l’”apprendere ad apprendere”, non rientrano in un programma. Per meglio dire, non sono programmabili. Non possiamo metterci in testa di insegnare a un bambino, in modo strategico, a essere un bravo alunno o a essere capace di apprendere. Ma possiamo tener presente che questo apprendimento avviene nella relazione con noi e che possiamo allestire le condizioni perché esso risulti positivo.
Sembra importante per insegnante, genitore e tutor comprendere come ogni bambino apprenda e adattare richieste e modalità di insegnamento agli aspetti psicologici. Ciò aiuta l’adulto:
“A tenere sempre aperta la relazione con lui […] e a tener conto delle diversità ‘caratteriali’ dei suoi studenti pur svolgendo per essi lo stesso programma”.
– Conserva, 2000
Purtroppo porre attenzione agli aspetti relazionali, non meno importanti dell’insegnamento della lettura, della scrittura o calcolo, spesso non è facile. Gli insegnanti hanno classi numerose, si trovano a dover accogliere diverse problematicità e a dover rispettare una serie infinita di impegni didattici.
Spesso le capacità degli insegnanti a riconoscere le modalità degli alunni ad apprendere e i relativi disagi emotivi e relazionali non sono supportate da conoscenze e formazione, o da servizi di sostegno psicologico nella scuola. Sono lasciate alla persona, alla sensibilità del docente: non sempre è sufficiente.
Quando il bambino apprende di non essere bravo ad apprendere
Può accadere che mentre apprende a scrivere, a leggere a e far di conto il bambino apprenda di non essere capace a farlo, di non essere un bravo studente. Può accadere che l’apprendere ad apprendere risulti disadattivo per l’individuo e diventi fonte di disagio.
Può accadere che un bambino con DSA sviluppi, già nelle prime fasi della scuola, un vissuto di disagio e che lo esprima sotto forma di un comportamento disturbante o aggressivo, bassa autostima e autoefficacia, sintomi psicosomatici, ansia, fobia della scuola.
Anche gli adulti diventano dislessici?
Anche per i genitori può non essere semplice comprendere la situazione, capire il figlio e individuare cosa fare. Spesso i genitori hanno come riferimento solo il proprio modo di apprendere. E si aspettano dal bambino che sia abile ad apprendere in modo naturale e nelle modalità richieste dalla scuola.
Mettendosi nei panni dei genitori o degli adulti deputati a prendersi cura del bambino, si può intuire la confusione che si prova quando il proprio figlio o la propria figlia incontrano difficoltà nel percorso di apprendimento. Mi viene da pensare che anche i genitori possano vivere una dislessia, una discalculia o una disortografia temporanee.
I genitori possono sperimentare, infatti, la difficoltà a leggere il bambino o la relazione con lui, a fare i conti con la situazione, a ri-scrivere le aspettative e i progetti che si avevano per lui/lei.
D come Diversità
Parlare di difficoltà specifica di apprendimento, avere un’etichetta diagnostica confermata dalla valutazione degli specialisti, seppur importante come più sù esplicitato, può comportare il rischio di localizzare il problema solo all’interno della persona (Stella e Grandi, 2012).
Ciò ha in sé il rischio di cadere in una di quelle che Bateson definisce spiegazioni dormitive, ovvero spiegazioni “in cui ciò che è in una relazione viene collocato in uno dei due termini della relazione e l’intelletto si addormenta”, non riesce ad accedere alla complessità di ciò che accade (Madonna, 2013).
Ciò può avvenire ad esempio quando si non tiene conto di se stessi e della propria partecipazione al contesto. E del fatto che “la spiegazione di quel che accade è nell’incontro, nella relazione fra insegnante e allievo” (Madonna, 2013). O ancora quando non si considera la relazione tra l’alunno (con le sue premesse sull’apprendimento), gli oggetti dell’apprendimento e le richieste dell’insegnante o dell’adulto di riferimento (con le loro premesse sull’apprendimento) .
Succede quando un insegnante dice che l’alunno non apprende perché non è motivato o perché non si impegna abbastanza, o perché ha un disturbo dell’apprendimento. Nei confronti degli alunni con DSA, accade spesso di considerare che non siano adeguati in alcuni contesti perché hanno un disturbo, senza considerare la relazione tra la persona e il contesto.
L’interazione bambino-ambiente
In una visione che tenga conto non solo del soggetto con DSA, non possiamo dimenticare che le difficoltà si manifestano, si consolidano o si delimitano, in relazione all’ambiente e alle richieste che in esso vengono fatte al soggetto (Pollak, 2009). Le difficoltà di apprendimento, infatti, si manifestano in sistemi educativi, nella relazione tra le richieste della scuola e le caratteristiche dell’alunno/a.
Per dirla in altri termini, è come se deducessimo che una persona non vedente non può imparare a leggere perché non vede il testo che ha davanti e perché se esposta alla stimolazione della lettura non acquisisce questa competenza. Dove sta il disturbo?
Solo nella persona non vedente o anche nella relazione tra la persona non vedente e l’altra persona che gli fa una richiesta alla quale lui/lei non può rispondere? Quella persona potrà imparare a leggere in altre forme? Utilizzando strumenti e modalità di apprendimento che tengano conto delle sue caratteristiche?
Nel caso dei DSA risulta forse più complesso porsi queste domande e comprendere quali sono le specifiche caratteristiche, probabilmente perché si tratta di una forma di dis-abilità meno evidente.
È per questo che è importante partire dalla diagnosi, dalla conoscenza del profilo del singolo alunno, per poi aprirsi alla possibilità di contemplare che i DSA corrispondano a “Diverse Strategie di Apprendimento“, tante quando sono i bambini con questi disturbi.
I DSA possono, infatti, essere considerati come espressione della diversità neurobiologica che appartiene a ciascun essere vivente e che rende ciascun individuo diverso e simile agli altri, anche in relazione alle modalità in cui apprende.
L’importanza della complessità
Nell’ottica della complessità è importante tenere insieme i punti di vista affrontati. Come quello attinente alla definizione neuropsicologica del disturbo, quello dell’importanza della relazione tra il bambino e la scuola, quello della diversità nell’apprendere.
Nel prendere in considerazione un singolo punto di vista, operazione necessaria in alcuni momenti, dobbiamo ricordarci degli altri aspetti altrimenti corriamo il rischio di “amputare” o “stirare” le informazioni. Proprio come il nostro caro Procuste. Dobbiamo stare molto attenti perché non si tratta di leggenda, ma della qualità della vita di bambini e famiglie. E voi che esperienze avete con i DSA?
Diverse strategie di apprendimento: bibliografia
Benso F., Sistemi Centrali ed Apprendimenti: L’utilizzo dell’’apprendimento motorio complesso per stimolare le risorse attentive. Psicomotricità vol. 11, n.2. 29 – 38. Erickson Trento, 2007.
Consensus Conference, Disturbi evolutivi specifici di apprendimento, 2007.
Conserva R., Apprendere ad apprendere, Insegnare, 2000.
Madonna G., La psicoterapia attraverso Bateson. Verso un’estetica della cura, FrancoAngeli, Milano, 2013.
Pollak D. – Neurodiversity in higher education: positive responses to specific learning, Wiley-Bllackwell, Chichester – Malden, 2009.
Stella G., Grandi L. (a cura di), Come leggere la dislessia e i DSA, Giunti Scuola, Firenze, 2012.
Psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale, mi occupo di psicoterapia della famiglia, della coppia e dell’individuo.
Articolo molto interessante, riesce a raccontare con chiarezza la complessità dei DSA. Leggere le relazioni nelle quali “stanno” le diverse strategie di apprendimento permette agli attori implicati (genitori, insegnanti, professionisti) di comprendere quali risorse sono utili al bambino e attraverso quale modalità usufruirne.
Grazie Paola per il commento. 🙂
Mi fa piacere che tu faccia riferimento alle “risorse” perché dal mio punto di vista può essere interessante partire dal DSA, come vincolo, per conoscerne le caratteristiche, coglierne punti di forza da potenziare e punti di debolezza da sostenere o da accettare come parti dl proprio modo di essere al mondo e nelle relazioni.