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La Settimana del Benessere Psicologico è un evento annuale, organizzato dall‘Ordine Psicologi Campania, realizzato su tutto il territorio regionale con la partecipazione attiva degli psicologi.

L’obiettivo dell’iniziativa è diffondere una cultura psicologica e promuovere la professionalità dello psicologo nelle comunità, creando contesti di riflessione e confronto tra istituzioni, cittadini e psicologi.

La scelta di affrontare il tema della genitorialità nasce dal mio interesse e dalla mia esperienza di lavoro con le famiglie. Oggi i genitori sembrano sentirsi molto fragili e spesso vivono sentimenti di inadeguatezza. Allo stesso tempo, sembrano essere genitori più consapevoli della propria scelta e più propensi a mettersi in gioco.

Il rischio corso dai genitori

La grande diffusione della cultura pedagogica e psicologica può portare a un facile accesso alle informazioni, ma si corre un alto rischio di divulgare o assimilare concetti e teorie in una forma banalizzata, o come “verità”, come modelli da seguire alla lettera.

I genitori si possono trovare intrappolati in modelli di “dover essere” e corrono il rischio di non riuscire più ad ascoltarsi, né ad ascoltare il proprio figlio. Più che di consigli e di risposte, forse i genitori oggi hanno bisogno di spazi, di tempo per potersi pensare, per poter riconoscere il proprio stile genitoriale.

Competenza dello psicologo non è (solo) dare risposte, fornire consigli ed elaborare teorie. È soprattutto accogliere le domande, allargarle, farne nascere di nuove e aprire uno spazio di pensiero.

Ecco che la domanda “sono un buon genitore?” mentre la ascoltiamo, si moltiplica, può affiancarsi a tante altre domande che aprono la mente e ci fanno riflettere. Ci permettono di riconoscere da quali premesse partiamo e dove pensiamo di andare:

“Cosa vuol dire per me essere un buon genitore?”, “Quando mi sento un buon genitore, quando un cattivo genitore?”, “Cosa vuol dire essere un buon genitore nella mia famiglia?”, “Essere un buon genitore in una piccola isola è lo stesso che esserlo in una grande città?”.

E così via. È proprio a partire da queste domande che è nata l’idea di fare un evento per riflettere insieme a genitori, insegnanti e cittadini sulle premesse e sulle caratteristiche del vivere la dimensione della genitorialità sull’Isola di Capri.

Gli spunti di riflessione che ho individuato riguardano ipotesi sui vincoli che il vivere a Capri ci pone, a partire dai quali è possibile individuare limiti e risorse all’interno della relazione genitori-figli.

Vivere nella bellezza

L’isola di Capri è un paradiso di bellezza. Ognuno di noi può riconoscere la bellezza in tante forme diverse: i colori, l’aria pulita, il mare, la tranquillità. A Capri si cresce nella bellezza e questa è una risorsa.

Vivere nella bellezza

Pensando a un posto così bello sembra molto difficile guardare alla bruttezza, al dolore, ai limiti. Chi ci vive è pronto a elencarne aspetti che non vanno, che rendono la vita poco piacevole. Eppure, soprattutto quando ci si confronta con chi di Capri non è, al sol pensiero di guardare al negativo, ci sentiamo di fare quasi un torto a chi vive in posti meno belli, in territori devastati dall’inquinamento, dalla criminalità.

Tuttavia, la separazione della bellezza dalla bruttezza può portare a lacerazioni dolorose. Sembra importante tener presente che bellezza e bruttezza non sono due elementi separati, coesistono in noi, nelle relazioni che viviamo, nei territori che abitiamo.

Un primo limite del vivere solo nella bellezza è , dunque, non riuscire a guardare gli aspetti di limite. Ma c’è anche un altro rischio: considerare la bellezza una qualità scontata. Un aspetto dato, che appartiene al territorio, alle relazioni, alle persone, del quale finiamo per non prendercene cura.

Considerare bellezza e bruttezza l’una accanto all’altra, inoltre, ci aiuta a evitare il rischio di collocare la bruttezza solo al di fuori di noi, dell’Isola o del nostro comune, o addirittura al di fuori di una zona del comune. Ci permette di abbassare il rischio di avere la “puzza sotto al naso”.

Spesso mi è capitato di riflettere sul fatto che diventare genitori è un’esperienza descritta come meravigliosa, solo bella. Un po’ come la nostra Isola: pubblicità ritraggono genitori bellissimi e sorridenti, figli stupendi. Effettivamente lo è. Ma chi può dire che non esistono momenti difficili in cui sembra che non ce la si possa fare? In cui pensiamo, come il papà del film, che essere genitori sia un’esperienza anche orribile?

Confrontarsi con la bellezza di Capri e viverne anche gli aspetti di bruttezza, anche se meno dicibili, può essere una risorsa fondamentale per il genitore. Permette di guardare alla bellezza dell’essere genitori e alla bellezza dei figli. È importante stare attenti a coltivare un’altra capacità, meno scontata per un caprese, come forse per un genitore: guardare gli aspetti di dolore, di bruttezza, di limite. Poterli condividere.

La stessa pericolosità la si può riconoscere anche quando si guarda al posto in cui si vive, a se stessi, ai figli, alle relazioni soltanto attraverso gli “occhiali della bruttezza”. La possibilità di coltivare benessere sta nell’oscillare tra l’una e l’altra dimensione, nel vederle come aspetti distinti, ma non separati (G. Madonna).

Essere piccoli, essere grandi

Capri è un’isola piccolissima, di circa 10,5 km², come ce ne sono tante nel mondo. A guardarla sul mappamondo appare come un puntino che si perde nell’azzurro del mare. Capri è anche un’isola conosciuta in tutto il mondo, famosa, protagonista del cinema, della moda, della storia. Un’isola grande.

Vivere a Capri ci insegna a stare nella grandezza, a sentirci, a volte, il “salotto” del mondo. Ci insegna anche a vivere nella piccolezza, e a sentirci in certi momenti solo uno “scoglio”. Se ci dimenticassimo di essere una piccola isola perderemmo, forse, la nostra identità. Il rischio c’è anche nel considerarsi solo piccoli: saremmo impreparati a vivere la grandezza della nostra Isola.

L’isola di Capri è piccola e grande e in questo si sviluppa il suo essere e chi vive l’isola fa esperienza di entrambe le dimensioni, con tutti i pro e i contro che comportano.

Oscillare tra il sentirsi piccoli e grandi, tra il sentirsi un puntino sul mappamondo e il sentirsi il centro del mondo, è una dimensione che spesso un genitore si trova a vivere nella relazioni con i figli e le figlie.

In alcuni momenti un genitore può sentirsi il centro del mondo del proprio bambino, il suo supereroe, e viceversa può avvertire il bambino come centro del proprio mondo. Ciò accade, fisiologicamente, nelle prime fasi di vita, ma anche in momenti successivi della crescita, e forse per tutta la vita.

capri

Altre volte, e forse proprio per la responsabilità che comporta il sentirsi così grandi, ci si può sentire piccoli e fragili, impotenti. O ancora, man mano che il bambino cresce, come un puntino nel suo mondo, che si popola di tanti altri punti di riferimento.

I bambini non hanno bisogno di genitori perfetti, di eroi. Per poter crescere hanno bisogno di punti di riferimento, di genitori che coltivano la capacità di stare nella propria grandezza e nella propria piccolezza, entrambi elementi necessari della relazione, senza perdere troppo spesso la possibilità di fare da guida.

I genitori (figli) sono un piccolo puntino nel mondo relazionale ed esperienziale dei propri figli (genitori); i genitori (figli) sono il centro del mondo dei propri figli (genitori). La relazione genitori-figli è la relazione più significativa, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male.

Turismo, accoglienza, chiusura

Capri è un’isola che vive di essenzialmente di turismo. Nasciamo e cresciamo con il mito dell’ospitalità. La parola ospite indica sia chi offre ospitalità, sia chi la riceve. È una parola molto bella perché ci ricorda che siamo tutti ospiti. Possiamo vivere l’isola come nostra casa e vi ospitiamo tante persone e allo stesso tempo non è la “nostra”, ci ospita come cittadini di passaggio.

L’isola è un territorio accogliente. Ci offre la possibilità di entrare in contatto con la diversità. Il mondo la attraversa: incontriamo  persone di lingua, cultura, religione, provenienza geografica, possibilità economiche molto diverse. E nel tempo ci siamo attrezzati anche per offrire diverse ospitalità.

Viviamo di accoglienza. Ma certe volte si ha la sensazione che viviamo anche nell’attesa che l’isola ritorni “nostra”. Ci sentiamo invasi quando Capri è piena di persone, e ci aggrappiamo all’idea che Capri è solo di chi la vive tutto l’anno, di chi ne conosce anche gli aspetti di limite, di fragilità, di chi la vive in inverno.

Ma a volte anche questo non basta. Anche chi vive sull’isola e mostra degli aspetti di diversità può sentirsi estraneo per una vita intera. E questa dimensione in un’isola piccola come Capri è difficile da vivere. Porta a isolarsi e si finisce per incrementare il distacco dalla vita comunitaria.

Siamo così aperti da ospitare la differenza, la diversità, l’estraneità in tutte le sue forme e rischiamo di diventare maestri di chiusura, di discriminazione. Spesso si percepisce una chiusura mentale tale che sembra di vivere in un posto diverso.

Quasi come se ci fossero due isole

La possibilità di accogliere la differenza è una grande risorsa per i genitori in quanto avere idee, emozioni, comportamenti diversi è pane quotidiano nella relazione con i propri figli.

La possibilità di riconoscere la differenza, la diversità, anche entrando in conflitto con l’altro è una dimensione necessaria per poter crescere. Il conflitto è enzima del cambiamento, della crescita, e se affrontato, permette di accogliere l’altro, di comprenderlo meglio.

D’altra parte come genitori, responsabili del benessere dei minori, non possiamo pensare di accogliere qualsiasi comportamento e forma di libertà, soprattutto quando la salute psico-fisica è a rischio o lo è la possibilità di relazionarsi agli altri. Mettere dei limiti, riconoscere la presenza di regole è altrettanto fondamentale, quando si sta attenti a non farle diventare prigioni o muri.

Rispettare e accogliere la diversità è una qualità trasversale dell’essere un genitore sufficientemente buono e permette di spostare il centro dell’attenzione dalla domanda cosa scelgo per mio figlio? a come accompagno mio figlio nelle sue scelte? (L. Formenti). Ci permette di accompagnare i nostri figli a diventare quello che sono.

Una piccola comunità, una grande famiglia

Capri ed Anacapri sono una piccola comunità, formata da poche persone, spesso ci si conosce tutti direttamente o indirettamente. Possiamo considerarci quasi come una grande famiglia.

La famiglia è un laboratorio di identità e accompagna i suoi membri a muoversi tra senso di appartenenza e senso di differenziazione. Ogni membro della famiglia può sviluppare la propria appartenenza vivendo le relazioni in famiglia, accedendo a riti, tradizioni, miti. La risorsa della piccola comunità è che questo processo di appartenenza può essere (forse) più ricco e coinvolgente.

vivere capri

L’essere una piccola comunità, inoltre, ci permette di accedere più facilmente alle reti informali (amici, familiari, vicinato, lavoro), importantissime per il sostegno strumentale ed emotivo dei genitori. Tuttavia, tali reti possono essere a maglie così strette da farci sentire intrappolati in etichette difficili da togliere.

Quando la vicinanza diventa invadenza

Se un compito della famiglia è alimentare il senso di appartenenza, un altro compito fondamentale è accompagnare i figli nel processo di differenziazione, permettendo loro di vivere relazioni extra-familiari e frequentare contesti altri. Abbiamo bisogno tanto di appartenere, tanto di sperimentarci come individui, differenziati dai nostri genitori, dalla famiglia, dalla comunità.

Dunque, se il rischio di non valorizzare gli aspetti positivi del controllo sociale è legato al pensare all’educazione solo un fatto privato, c’è da tener presente anche il rischio opposto: un controllo eccessivo, che può diventare giudizio e alimentare forme di discriminazione.

Un altro aspetto dell’essere una piccola comunità è un maggior livello di autonomia. I bambini hanno la possibilità di uscire da soli molto prima che in altri contesti, anche perché c’è la consapevolezza che ci sono adulti che possono prendersi cura di loro, o ricordargli le regole e il rispetto comune, quando tendono a non rispettarle.

Ma c’è anche un rischio connesso al considerare il controllo esterno (della comunità o dell’adulto di riferimento) come unica possibilità per garantire l’autonomia al bambino: quello di un‘autonomia apparente. Il bambino eccessivamente protetto, che fa affidamento prevalentemente sul controllo degli altri, probabilmente ha difficoltà a riconoscere il pericolo, a individuare le risorse personali per affrontarlo o per gestire in autonomia le situazioni.

Essere vicini, essere lontani

Capri è un’isola vicina alla terra ferma, a circa 20 minuti di navigazione dal porto di Sorrento. Ma a volte, in alcuni momenti o fasi della vita, ci sembra lontanissima. Non appena arriva l’autunno, ad esempio, il primo mal tempo, l’angoscia dell’isolamento ci pervade tutti. Iniziamo a pensare a tutte le carenze, a tutti i disagi dell’essere isola, circondata dal mare.

Questa condizione ci mette in contatto con il senso di dipendenza dal resto del mondo: per il rifornimento, per la scuola, per l’ospedale. E allo stesso tempo, risveglia il nostro bisogno di indipendenza: migliorare ciò che c’è per poter stare meglio, anche in casi di isolamento.

Un processo vitale, se non diventa totalizzante: nessun territorio, nessuna comunità può essere soltanto indipendente, se non pagando il prezzo dell’isolamento e, dunque della “morte”.

Ecco, questa duplice dimensione vissuta in maniera così forte, può dirci qualcosa della relazione genitori figli. La dipendenza e l’indipendenza sono dimensioni centrali nella relazione genitori-figli, da subito, dalla nascita. Non possono essere presenti separatamente, si intrecciano nella continua danza relazionale tra genitori e figli.

Se in una relazione possiamo riconoscere e vivere la compresenza della dipendenza e dell’indipendenza, corriamo un minor rischio di cadere nelle aree patologiche della tossico-dipendenza o della tossico-indipendenza dall’altro.

In una relazione se non c’è dipendenza, il bisogno della presenza dell’altro nella nostra vita, non ci può essere indipendenza. Sono sempre presenti entrambi, in modalità diverse, in forme diverse, proprio come sono entrambi sempre presenti nella relazione tra l’isola e la terraferma.

Confini chiari, confini sfumati

Un altro elemento che caratterizza la vita sull’isola: la percezione dei confini. Mi riferisco al fatto che abbiamo una consapevolezza di dove l’isola finisce. Questo mi ha sempre dato un senso di sicurezza.

Confini sempre presenti nella vista e nella mente. Allo stesso tempo, se guardiamo più da vicino, i confini sembrano essere molto fluidi: dove finisce l’isola e dove inizia il mare? Pensiamo al bagnasciuga, una zona di incontro, dove è ancora terra ed è già mare.

I confini sono un limite che separa e unisce. Quelli naturali non sono quasi mai così netti. Così l’uomo li ha definiti artificialmente, tracciando confini geografici, leggi, regole, limiti.

I bambini hanno bisogno di limiti per poter crescere, per poter essere bambini e vivere la loro età. I confini nella relazione genitori-figli sono un elemento fondamentale. Hanno a che fare con le regole, con il passaggio di informazioni e con gli scambi: quali informazioni riguardano solo i genitori? Quali solo i figli? Chi mette le regole? Quando le regole si possono/devono cambiare?

I confini chiari

Oggi i genitori vengono accusati spesso di essere molli, di non dare regole chiare, di mettere dei limiti che non tengono, o di non metterli affatto. Si finisce spesso per fondare la famiglia su un’idea di democrazia parziale. La famiglia, infatti, può essere intesa come una democrazia, ma non bisogna dimenticare che anche in democrazia c’è bisogno di capi (S. Minuchin). La gerarchia è, infatti, una delle regole più importanti della relazione genitori-figli.

La gerarchia si basa sull’autorevolezza del genitore, che non è una qualità costante. Si sviluppa nella relazione e ha a che fare con l’assumersi la responsabilità di essere una guida per il bambino, di scegliere cosa è bene per lui, ascoltandolo. Se il bambino riconosce l’adulto come guida si affida più facilmente a lui, sceglie di dargli la mano (L. Formenti).

Se nella relazione genitori-figli è possibile definire dei confini gerarchici chiari, si possono permettere delle eccezioni sulle regole, dei momenti in cui quei confini possono sfumare e sentirci bambini insieme a loro per qualche istante o concedergli un’esperienza solitamente vietata. L’inverso è più problematico: quando c’è mollezza sui confini gerarchici e rigidità sulle regole, si finisce per fare una battaglia estenuante per farsi ascoltare con bambini che somigliano a dei veri e propri governanti.

L’autorevolezza non è una qualità costante, che appartiene solo al genitore, non si può pretendere da lui e non si può imporre a un figlio. Si sperimenta e si costruisce nella relazione, soprattutto ascoltando se stessi e l’altro.

Crescere sull’isola: estate e inverno

L’isola ha due facce molto diverse: estiva e invernale. Due lati della medaglia, caratterizzati da ritmi e abitudini che possono essere opposti. La vita sull’isola cambia talmente tanto da influenzare l’organizzazione e le dinamiche familiari.

In estate c’è vita, tanti eventi, il mare da vivere. Le famiglie vivono ritmi frenetici e sembrano non potersi fermare mai. Un tempo pieno, forse troppo pieno. In inverno c’è silenzio, buio, spesso si fa fatica a trovare qualche attività da fare, spesso non si lavora. Un tempo vuoto, forse troppo vuoto.

Il vuoto e il pieno sono aspetti importanti nella vita di ognuno di noi, in particolare per i bambiniViviamo in una società dove sembra che sia importante solo la dimensione piena della vita.

Crescere sull’isola

Riempiamo le nostre agende e quelle dei bambini di attività da fare; le giornate sono impegnate a livelli ingestibili e spesso non riusciamo a stare senza far nulla. Dimenticandoci che stare senza far nulla non è tempo sprecato, anzi è un tempo ricco, è un tempo di riflessione, di fantasia, di pensiero, di creatività (A. Oliverio Ferraris).

Il bisogno di pieno può essere tanto forte che finiamo per riempire anche i momenti di pausa, che sono nati proprio per l’importanza del vuoto, con telefonini, social network, messaggi.

Nel susseguirsi di estate e inverno la vita a Capri ci insegna a stare in entrambe le dimensioni: a saper stare, più o meno bene, nel pieno e nella frenesia estiva; e a saper stare, più o meno bene, nel vuoto dell’inverno. Tale possibilità, se vista e accolta, può essere una risorsa importante per i genitori: può allenare a trovare l’estate nell’inverno e l’inverno nell’estate; ad accogliere la ricchezza dei momenti di pieno e di vuoto.

La polarità estate/inverno può rappresentare un rischio se viene scissa. Se il pieno diventa eccessivo, ma anche se lo diventa il vuoto. Se guardiamo al pieno come unica condizione di esistenza, ma anche se guardiamo al vuoto come unica possibilità.

Ora aspetto i tuoi commenti, quali sono dal tuo punto di vista i vincoli del vivere a Capri a partire dai quali è possibile individuare risorse e limiti per i genitori?